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Visualizzazione dei post da febbraio, 2017

cronaca a puntate di un pollo fritto in due modi

Sta male dire che non avevo tempo per pensare con cura a questo MTC e che ho iniziato usando ciò che avevo in frigo? Fa brutto ammettere che l'effetto è risultato talmente piacevole che la cosa mi ha preso la mano, portandomi ad inquadrare sempre meglio il percorso in modo naturale e sciolto, tanto che potrei fingere di averci cogitato sopra giorni e giorni e sperimentato ore e ore... anche se non è vero? Si sappia che per una delle due ricette, invece, è andata proprio così. I brani separati dai tre trattini corrispondono alle giornate di lavorazione, nel senso che, incasinata oltre ogni senso logico, ogni giorno separatamente ho dedicato un pochino di tempo ad un passaggio: ho realizzato una coppia di ricette a puntate, insomma... Quasi quasi mi trovo uno sponsor e ne faccio una soap opera all'americana! Al 5 febbraio viene rivelato al mondo che la nuova ricetta per l' MTC del mese  è il pollo fritto di Silvia, una "anche no", che tradotto significa &qu

gli gnocchi, il cavalier, l'arme, il convento... (parte VI)

[arriva da qui... ] Ma in poco tempo il tempo era cambiato, il cielo si era fatto nero, lampi e tuoni provenivano da Nord, forse avrebbe fatto bene ad affrettarsi… Il temporale lo colse che era ancora sul fianco del monte: impossibile pensare di proseguire il cammino fino al convento, con il rischio di bagnare i sacchi di farina destinati ai buoni frati! Un viottolo scosceso si dipartiva dalla strada principale e scendeva verso una casupola dai vetri appannati e il cavaliere guidò con attenzione il cavallo in quella direzione.  Era appena giunto al piccolo pianoro dove sorgeva la casa che si aprì l’uscio e sul vano della porta si parò un giovane dalla testa rasata e dalla veste bianca. Il volto curioso di un’anziana signora faceva capolino alla sue spalle.  “Chi siete - chiese diffidente il giovane – che volete?“. “Sto portando dei sacchi di farina al convento qui vicino ma vi chiedo umilmente un riparo almeno per il cavallo fino al cessare dell’acquazzone, se non è troppo

borettane glassate allo sciroppo d'acero: mood americano per cipolline italiane

C'è chi sostiene che negli Stati Uniti non esita una vera tradizione gastronomica. C'è chi invece negli ultimi anni si è innamorato di chef televisivi, video-ricette istantanee su facebook, blog di tendenza e amenità varie ed ha all'improvviso scoperto che esiste un senso anche americano in cucina. La vasta e multiforme tradizione culinaria statunitense ha fatto parte della mia vita per un lungo periodo di tempo, così ne ho una visione "dall'interno" abbastanza imparziale, che sa distinguere, almeno dal mio punto di vista, le degenerazioni insostenibili dalle le specialità da celebrare all'interno del misto di epoche e di culture che hanno contribuito alla sua composizione. Ritengo che la caratteristica principale del cibo popolare statunitense sia una certa combinazione di gusti estremi, che adora gli eccessi ma che, quando trova il giusto equilibrio, sa sfornare abbinamenti davvero centrati. Le parole preferite degli Americani in fatto di cibo son

il basilico a febbraio: profumo per una crema di zucca e cocco

Mi sono ritrovata, contro la mia natura, del basilico fresco a febbraio. Motivi professionali, mi sono detta, ok, ma questo basilico dalle fogliolone giganti ed insapori come potrebbe essere utilizzato senza scomporsi moralmente? Non  sufficientemente profumate per pensare a un  pesto, ho deciso di farne un infuso, sperando che il calore le aiutasse a rinvigorire gli aromi di questa erba tipicamente estiva, come si fa spesso nelle cucine dei Paesi del Sudest asiatico. Dirottati dunque i rametti di basilico dentro una zuppa di ispirazione tailandese che mi girava in testa da tempo,  la loro mite fragranza si è miscelata ad altri sapori,  che in quella tradizione sono spesso legati al basilico  in abbinamenti un po'  insoliti per il nostro palato (zucca e basilico?!). Riesce così ad emergere quella nota di familiare freschezza che il basilico dovrebbe sempre richiamare, pur non essendo poi qui fisicamente le sue foglie davvero presenti nel piatto. Ottima come partenza una zup

una storia dietro un nome: furofuki daikon

Riflettevo in questi giorni su quanto a volte sia curioso quanto i nomi delle cose nascondano al proprio interno storie spesso insospettabili. Sono sempre stata intrigata dalla filologia e dalla storia delle parole, a maggior ragione da  quando ho cominciato ad occuparmi seriamente di cucina, fonte inesauribile di sorprese verbali. Ne è un esempio il nome del "classico" daikon con salsa di miso, che in giapponese si chiama furofuki daikon . Eh già: troppo semplice interessarsi all'origine di nomi come "focaccia" o "pasta alla carbonara"! Oggi invece mescolo storia e geografia parlando di un aneddoto che, poco conosciuto in Giappone, addirittura non è mai stato raccontato in rete, per quanto ho potuto verificare, ne' in inglese ne' in italiano. Esiste in Giappone l'albero della lacca,  il ki-urushi , la cui resina è utilizzata nella laccatura tradizionale delle celeberrime ciotole di legno e di vari oggetti per la tavola e per la cas

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!